Il Cammino dei 36 Principi

Il sistema dei trentasei principi (tattva) esposto da Abhinavagupta nel Tantrāloka è allo stesso tempo:

  • una classificazione in categorie della realtà umanamente esperibile;
  • una cosmogonia che descrive come l’Uno si sia espanso e, al suo interno, differenziato;
  • un percorso di Conoscenza attraverso cui l’uomo può risalire alla propria identità con l’Assoluto.

I principi sono forme di energia emananti tutte da un’unica entità senza superiore: Parama Śiva, il dio supremo, regno della totale Indeterminazionee indicato come trentasettesimo principio o principio zero, il che significa considerarlo al di fuori di questa sistemazione.

Da Esso promanano in primo luogo i principi Śiva[1] e Śakti[2], i quali, pur comparendo nel sistema come susseguenti l’uno all’altra, coesistono sempre ed inevitabilmente rappresentando la Coscienza dotata di assoluta libertà e la sua Potenza, cioè l’energia che le permette di esistere, ossia di volere, conoscere ed agire (icchā-jñāna-kriyā).

Insieme ai primi due principi altri tre appartengono allo stesso livello, in quanto esprimono tutti differenti proprietà della medesima Coscienza indivisa e completa. L’idea di completezza, assolutezza e totalità permea i loro nomi ed è caratteristica degli aspetti che rappresentano: Sadaśiva[3] è la coscienza sempre desta, l’eternità vissuta come unico momento presente e continua possibilità; Īśvara[4] è l’onnipotenza, la signoria sul mondo; Śuddhavidyā[5] è la conoscenza totale, diretta, luminosa e ultima, la conoscenza che non può essere soggetta a ulteriori modifiche, a revisioni.

L’insieme dei primi cinque principi prende il nome di Cammino Puro, in quanto per “percorrerlo”, per farne esperienza, occorre avere una visione non duale della realtà.

La dualità, cioè fondamentalmente la distinzione fra soggetto e oggetto, è emessa nel mondo attraverso la potenza che ha il nome di Māyā[6](l’Incantatrice, il potere dell’illusione). Essa è descritta come potenza di (auto)limitazione poiché è l’energia con cui la Coscienza libera si autolimita per fare esperienza del mondo; secondo la filosofia indiana ciò avviene come per gioco, per divertimento (līlā). Māyā è il sesto principio e la prima delle cosiddette sei corazze, o guaine, che velano, oscurano ed imprigionano la coscienza dell’uomo. Le altre sono: Kalā[7] (la forza, l’attività), Vidyā[8] (la conoscenza impura), Rāga[9] (l’amore come attaccamento), Kāla[10] (il tempo), Niyati[11] (la necessità). Con le sei corazze ha inizio il Cammino Impuro che descrive il progressivo individualizzarsi della Coscienza.

I principi dodici e tredici simboleggiano la separazione di anima e materia: lo spirito originario ed eterno dell’uomo, Puruṣa[12], si concepisce e percepisce isolato e diverso da ciò che lo circonda e che gli appare in continua trasformazione, ossia la natura, Prakṛti[13], intesa come forma originaria, matrice, modello della manifestazione.

A seguire vengono distinti tre “organi sottili” che costituiscono le facoltà mentali: la Buddhi[14] che è l’intelligenza intuitiva che scaturisce dalla riflessione e tende a cogliere le connessioni fra le cose, l’Ahaṁ-kara[15] che è il senso dell’Io, proprietà della mente di far ruotare tutto attorno all’ego, e il Manas[16] che è la razionalità discriminante.

Se le facoltà mentali possono essere associate alla potenza di volontà di Śiva (è nella mente che si forma in ciascuno di noi la volontà precisa di fare o non fare qualcosa), alla potenza di conoscenza vanno associati gli “organi sottili” di Conoscenza (Jñanendriya [dal principio17 al 21]) che corrispondono grossomodo ai nostri cinque sensi percettivi. Analogamente, sono determinati dalla potenza di azione i cosiddetti “organi sottili” di Azione (Karmendriya [dal 22 al 26]), che esprimono attività e prerogative strettamente collegate ad alcune precise parti del corpo.

Gli ultimi due livelli del sistema sono costituiti da principi che esprimono qualità più sottili e più grossolane di una realtà che ormai pare essersi completamente oggettivata. Si tratta cioè di qualità (come per tutti gli altri principi, espressioni dell’Energia) che paiono sempre più slegate dal soggetto conoscente e sempre più inerenti all’oggetto del conoscere. Sono i cinque Elementi Sottili (Tanmātra [dal 27 al 31]) e i cinque Elementi Grossolani (Mahabhūta [dal 32 al 36]).

Tabella 36 principi PDF

I due lavori che presentiamo qui traggono origine da una profonda meditazione sui trentasei tattva, che si è svolta e che ha generato a sua volta diversi “punti di vista” con cui approcciare il sistema stesso. Ne sono nati cammini diversi, cioè percorsi di riflessione e conoscenza in cui ciascun principio costituisce una tappa, un momento di crescita, di progressiva espansione della coscienza.

 

Il Cammino rituale è costituito datrentasei aforismi che si pongono come summa filosofico-pratica della ritualità in quanto affrontano in modo originale il significato e i mezzi del celebrare riti e si sforzano di farlo dando una visione a suo modo esaustiva dell’azione sacrale, esaustiva proprio perché gli aforismi scaturiscono dal sistema sopra esposto.

Questo sentiero prende avvio dall’ “alto” con il Cammino puro e procede man mano verso il “basso”; esso ha origine dall’aforisma che associamo al (non-)principio Parama Śiva:

Il Sacro è unione con il Supremo”.

Ciò perché la ritualità ha la caratteristica di creare momenti di “sospensione” dell’io, momenti di vuoto in cui il divino naturalmente presente in ogni uomo e donna ha la possibilità di manifestarsi: il rito è tale solo in quanto invito rivolto alla Coscienza libera di Śiva e Śakti.

 

 

I trentasei aforismi che compongono il Cammino senza mezzi sono costruiti come dei lampi, sprazzi di luce che donano una visione istantanea delle qualità del principio: è la coscienza stessa che si colloca all’interno di un principio e gli dà voce. Questo cammino si basa sul riconoscimento diretto dei principi come parte di sé; questa consapevolezza non si raggiunge attraverso un qualche tipo di attività (mentale, rituale, etc.), ma scaturisce dall’osservazione di sé, per questo viene detto “senza mezzi”. La coscienza individuale espandendosi assorbe prima i principi bassi (gli elementi grossolani) per poi dissolversi in quelli del Cammino puro.

L’aforisma dedicato a Parama Śiva, chiave del percorso proposto è:

Non, No, Nulla”.

Esso sta a significare che la Realtà Ultima non è esprimibile attraverso delle qualità, ma può soltanto essere indicata per negazione, ossia mostrando quello che non è.
Da scaricare i nostri commenti e disegni sui primi 5 principi :

I 36 tattva – Cammino rituale
I 36 tattva – Cammino senza mezzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *